La psicoterapia al tempo di Covid-19: alcuni spunti di riflessione sulla relazione terapeutica e sui pazienti

 


di Giuliana Cicuto[1]

Questo breve articolo non ha assolutamente la velleità di essere esaustivo, ma è un personale tentativo di fermare su carta alcune riflessioni che ho fatto in merito al “cambio di setting” che la mia professione di psicoterapeuta ad indirizzo psicoanalitico ha subito.
 
Durante questo periodo di quarantena dovuto al diffondersi del Covid-19, la drammatica emergenza sanitaria che tutto il mondo sta attraversando, ognuno di noi è invitato a restare in casa per evitare di contrarre il virus e limitare il diffondersi del contagio.
 
Negli ultimi giorni le condizioni in cui viviamo e lavoriamo come professionisti sono quindi cambiate rapidamente. Lavoriamo da casa in modo da non dover andare in studio e in modo che i nostri pazienti non debbano spostarsi fuori dalle loro abitazioni.
 
La consulenza telefonica ha rappresentato la prima forma di contatto indiretto ed è ancora oggi utilizzata, ad esempio, dai centri di ascolto e di sostegno, molto meno dai professionisti. L’area della cosiddetta e-therapy copre invece le interazioni che possono essere realizzate per mezzo delle tecnologie di interazione a distanza supportate dall’audio-video, nell’ambito delle forme computer-mediated.
 
Tralasciando le considerazioni teoriche vorrei condividere la mia esperienza di psicoterapeuta clinica che lavora soprattutto nell’ambito privato con adulti.
 
Come professionista della salute posso portare avanti il mio lavoro online continuando così ad assistere i miei pazienti anche da casa, ma devo ammettere che il passaggio non è stato così semplice e lineare.
 
Una generale considerazione che può essere fatta è che la psicoterapia psicoanalitica in remoto ha luogo in un setting che può essere meno privato, meno sicuro, più imprevedibile e più facilmente disturbato rispetto a quello del proprio studio.
Ovviamente ogni professionista ne deve tenere conto cercando di organizzare i propri appuntamenti adeguatamente, riflettendo sulla funzione contenitiva ed interpretativa che inevitabilmente subiscono degli adeguamenti e riconoscendo che la formazione e il dibattito clinico è stato poco se non nullo in certi casi.
 
Ripensando invece più in specifico alle reazioni dei miei pazienti posso fare alcune considerazioni sulle emozioni, altre sui sintomi ed altre ancora sulla dinamica relazionale.
 
Per quanto riguarda il primo punto, le emozioni, sicuramente la paura la fa da padrona.
La paura è un'emozione naturale che evolutivamente ci ha consentito di sopravvivere, facendo aumentare il livello di attenzione e preparando il corpo a scattare e rispondere in caso di pericoli improvvisi. Non di rado noto però che la paura si trasforma in ansia, una spiacevole sensazione che anticipa e amplifica le conseguenze di quegli stessi pericoli che a mente fredda giudicheremmo innocui. In questo senso l'ansia può diventare disadattiva, facendo assumere una prospettiva acritica che porta a reagire impulsivamente, senza riflettere.
Il contenimento di quest’ansia è il primo “lavoro” a cui sono chiamata. I pazienti chiedono rassicurazioni sul fatto che riusciranno ad affrontare questa crisi.
“Chiedono” di condividere alcune preoccupazioni e paure. Mi sento di rispondere loro che tutte le emozioni che si provano e le reazioni che si hanno in questo momento sono condizionate dalla situazione particolare in cui ci troviamo e quindi spesso vengono amplificate dalla limitazione della libertà personale. Tenendo conto di ciò, prendendone consapevolezza, possiamo leggere insieme queste emozioni in un’ottica nuova, prendendo la giusta distanza per affrontare i timori che possono derivare dall’incertezza e dalla precarietà di questi giorni.
 
Un’altra considerazione è sui sintomi: da un lato alcuni mi riportano un aumento della sintomatologia che li caratterizzava già nel percorso terapeutico che svolgevamo in studio, soprattutto i soggetti ansiosi; dall’altra i così detti ipocondriaci continuano ad osservare il loro corpo con minuzia, ma notano che non hanno sintomi riconducibili al Covid-19 e quindi dichiarano trionfalmente di stare bene o, meglio, il loro corpo è sano!
I pazienti con tratti depressivi, riportano una leggera sensazione di sollievo perché altri, come loro, si rintanano in casa, provano angoscia e si ritrovano a sperimentare un’iniziale sensazione di vuoto di fronte ad una realtà nuova ed imposta.
Purtroppo il Covid-19 va a braccetto con gli ossessivi-compulsivi: il giusto richiamo alla pulizia, in particolare il lavaggio delle mani, il tenere il metro di distanza dagli altri si sono alleati con il disturbo psichico di alcuni di loro.
 
Riflettendo sulle dinamiche relazionali, ricordo che la reazione di un paziente è correlata alle sue disposizioni transferali e al livello di patologia.
Mi sono trovata di fronte pazienti che hanno involontariamente sottolineato la nostra buona alleanza terapeutica accettando il cambio di setting ed apprezzando lo sforzo per continuare la terapia in circostanze difficili.
I pazienti invece con un attaccamento più insicuro o con un funzionamento maggiormente compromesso hanno fatto più fatica ad attenersi alle nuove disposizioni e a mantenere una buona compliance; da un lato hanno insistito sul fatto di vederci in studio (sminuendo e minimizzando il Covid-19 e le direttive governative) dall’altro hanno faticato a prendere accordi su giorno ed orario per la seduta on line rispondendo “… preferisco rimandare a data da destinarsi …” .
 
Grandi sorprese mi giungono invece dai sogni. I soggetti più “resistenti” sognano e/o ricordano di più ciò che hanno sognato mentre coloro che portavano già in seduta molto materiale sembra che rallentino. Comunque il tema richiede maggiori approfondimenti. Per ora mi accontento di ascoltare ed osservare il materiale onirico che i miei pazienti scelgono di condividere ed interpretare assieme.
 
Concludo dicendo che in questa situazione, così particolare di lavoro on line, mi sono sentita spesso di dover mantenere con il/la paziente un obiettivo condiviso, di continuare ad offrire un interesse ed un’attenzione autentica, una comunicazione ed una presenza costanti pur mediati da un video o da un telefono.
Ritengo che da questa esperienza apprenderemo nuovi strumenti di lavoro,  scopriremo nuove emozioni in noi e nei nostri pazienti, indagheremo su nuove dinamiche relazionali e faremo attenzione a cogliere sempre, nel più profondo del nostro/loro mondo interno, quali sono i bisogni e i desideri per poter vivere al meglio tutto ciò che la vita ci pone difronte.
 

Sullo stesso tema vi rimando all'articolo della mia collega Sara Larice cliccando qui


Buona navigazione e buon vento a tutti/e.
 
 


[1]Psicologa-Psicoterapeuta e Socio fondatore dell’Istituto Psicoanalitico Forbas

 

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